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Circolo d'immaginazione

Il bollettino di City e le varie fanzine degli anni '80 hanno pubblicato spesso interventi e schede di film di sf; film che hanno avuto un peso significativo sia per il genere che per il mondo del cinema. In questa sezione vogliamo riproporre quelle che a nostro avviso possono avere una rilevanza dal punto vista storico e culturale.


Articolo riproposto da:
Fanzine periodica bimestrale, anno III, aprile 1984, n° 17.


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Scheda filmografica

The Day After. Il giorno dopo
The Day After
USA, 1983.


Note

  1. Sulla scia di “The Day After” è stato messo in circolazione un altro film-documentario sulla catastrofe nucleare. Si tratta di “The Atomic Cafè” per la regia di J.Loader e con K. E P. Rafferty. Probabilmente un segno indicativo del processo di commercializzazione del fenomeno; effetto quest’ultimo chiaramente pericoloso.
  2. The War Time, GB, 1965 è anche apparso in Italia col titolo “Il gioco della guerra”.
  3. A Guide to Armageddon, GB, 1982.
     

The Day After
Il giorno dopo

 

di Roberto Milan

Il “giorno dopo” è sceso tetro sulla falsità umana.
Non più giochi politici, stupide dispute, diffusa ipocrisia; solo disperazione per chi non è già morto.
Bagliori lontani si rincorrono nel crepuscolo mentre la gente grida la propria impotenza, il proprio terrore.
Nulla sembra cambiato, ma le radiazioni hanno già iniziato a dilaniare i corpi dei sopravvissuti ed un insolito vento si è alzato. Eppure l’esplosione era stata così lontana …
La notte è scesa sul “giorno dopo” coprendo col suo manto l’orrore della guerra, e fra la gente c’è chi piange, chi impreca, chi non vuole morire ed ha paura, chi cerca di raggiungere un rifugio ma non sa dove andare, chi ha dimenticato tutto e dorme … per sempre.
Nel “giorno dopo” non rimane nulla da dire.
Volti allibiti si scrutano cercando una risposta ad una realtà divenuta insopportabile, ma ogni parola suonerebbe vuota di fronte ad un incubo mai seriamente considerato.
Fuggevoli ombre si dipingono lungo i muri mentre voci incerte chiamano gente che non può sentire, ed un uomo incespica, cade e non si rialza.
Il “giorno dopo” è giunto ed il futuro lentamente muore.
Il “giorno dopo” sarà troppo tardi per pensare alle conseguenze, troppo tardi per la vita. L’olocausto nucleare pende sulle nostre teste come una spada di Damocle ma, a quanto sembra, nulla è possibile per scongiurarlo. Marce e manifestazioni per la pace non hanno potere; il potere sta ai vertici della società e solo chi lo detiene prende le decisioni. L’uomo comune è relegato nel suo modesto ruolo di comparsa, vinto dalle leggi meccanicistiche che regolano i rapporti umani, saldamente legato con robuste catene ad una realtà sociale che lascia un certo spazio di movimento ma nessuna possibilità d’intervento. Così molti si arrendono e lasciano fare, confidando in chi dirige la situazione e ha già dato prova di non poter, o di non voler, trovare una soluzione.
In un simile contesto sensibilizzare seriamente l’opinione pubblica è assai difficile. I tentativi ormai non si contano più: “The Day After”, per la regia di Nicholas Meyer, è uno di essi.
La prima impressione è che si tratti di un intervento riuscito; grazie ad immagini estremamente vivide e crude l’opera mette lo spettatore di fronte ad una possibile realtà futura decisamente spaventosa. Il vantaggio dell’espressione cinematografica rispetto a quella relativa ad altri mezzi di comunicazione, risiede proprio nella maggiore immediatezza dell’immagine nei confronti della parola.
Un conto è assistere a discussioni su disastri nucleari che appaiono mitigati e lontani, sentirsi ripetere la fatalità di un conflitto atomico che non lascerebbe sopravvivere nessuno, e un conto è vedere, seppur nella finzione scenica, quegli orrori che gravano così mortalmente sul nostro futuro. In questo “The Day After” è sicuramente positivo, perché riesce a spaventare lo spettatore dando un volto reale ad un incubo per molti non ben definito, perché può indurre a riflettere e magari agire.
Bisogna però considerare un altro aspetto dell’opera, meno evidente ma non per questo inesistente: il generare nella gente un’errata interpretazione del fenomeno. Se il cinema, che da molti non è considerato come un’espressione artistica bensì come semplice regno della futilità e dello svago, si interessa di un simile argomento, esso corre il pericolo di venire recepito come il frutto di una fervida immaginazione, di una semplice finzione scenica, e addirittura può dar luogo ad un fenomeno, invero già avviato, di familiarizzazione con il conflitto atomico. E se per l’umanità un simile problema entra nella normalità di tutti i giorni, se nasce la convinzione che nonostante tanto parlare non si verificherà mai niente, è la fine, perché viene a mancare la seppur minima reazione ad una simile pessimistica previsione che, se non altro, ha contraddistinto i giorni nostri. L’abitudine può accentuare le probabilità di un disastro estremo.
Il discorso da fare su “The Day After” è essenzialmente inerente al suo messaggio e al suo significato in relazione all’epoca in cui viviamo; gli altri elementi costituenti la pellicola sono chiaramente in secondo piano pur risultando validi e degni di elogio.
Se “The Day After” è importante, altrettanto lo sono alcuni suoi predecessori, indubbiamente meno noti ma ugualmente meritevoli di essere visti. Si tratta di due documentari (1), entrambi realizzati per la BBC, in cui le vicende di una guerra nucleare vengono esposte forse con minor coinvolgimento emotivo, ma con altrettanta tensione drammatica. La prima di queste due opere, “The War Time” (“La posta in gioco”) (2) per la regia di Peter Watkins è stata realizzata nel 1966 e si distingue per il notevole realismo, alla cui base stanno fondate congetture scientifiche (ovviamente riferite al periodo in cui il film è stato realizzato), nell’illustrare lo svolgimento di un ipotetico conflitto mondiale fra oriente ed occidente per la supremazia in Europa. A confermare il valore della pellicola stanno due significativi premi: nel 1966 un riconoscimento speciale della giuria del Festival di Venezia e nel 1967 l’Oscar nella categoria documentario. Altro fanta-reportage è “Guida all’apocalisse” (3) di Mick Jackson, in cui si studiano gli effetti che potrebbe provocare la caduta di una bomba atomica da un megatone su Londra; le conseguenze sono davvero impressionanti soprattutto se si considera il fatto che le odierne testate nucleari hanno potenze distruttive notevolmente maggiori.
Per tornare a “The Day After” c’è da dire che l’operato di Nicholas Meyer, già regista di “Star Trek: l’ira di Khan”, è stato molto buono, aiutato in questo dall’intelligente sceneggiatura scritta da Edward Hume che focalizza la propria attenzione sulla gente comune, su quella larga parte della popolazione che non fa la storia ma ne subisce le conseguenze, soffrendo a causa delle ambizioni e degli errori di pochi. E questo accresce il significato della pellicola; i personaggi che agiscono nella vicenda (un allevatore e una propria famiglia, un soldato di colore in servizio presso la base militare di Kansas City, un medico che lavora in un ospedale della città) ci riconducono ad un contesto reale del tutto simile al nostro, ci ricordano che gli uomini, che nel film assistono all’evento increduli, consci della propria imminente morte, un giorno potremmo essere noi o i nostri figli. Kansas City non è poi così diversa da altre città europee e italiane. La gente, in fondo, è sempre la stessa.
“The Day After” rappresenta in definitiva uno sforzo che sarebbe stato da apprezzare anche al di là della validità dell’opera stessa (che è invece condotta abilmente e ben congegnata), uno sforzo per non lasciar andare l’umanità alla deriva incontro al proprio destino.
“Non c’è speranza se scoppia la guerra” ha detto Meyer “ma noi oggi siamo ancora nel “day before”, al giorno prima, e siamo ancora in tempo ad agire. Questo film l’ho girato per egoismo: è l’affermazione della vita e dell’esser vivi.”.
Forse fra qualche anno questa pellicola sarà dimenticata, forse, se l’orrore del pericolo atomico sarà infine scongiurato, l’opera perderà ogni significato, ma per il momento ciò non accadrà: il “giorno dopo” può ancora bussare alla porta.
Da un momento all’altro.