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Circolo d'immaginazione

Il bollettino di City e le varie fanzine degli anni '80 hanno pubblicato spesso interventi e schede di film di sf; film che hanno avuto un peso significativo sia per il genere che per il mondo del cinema. In questa sezione vogliamo riproporre quelle che a nostro avviso possono avere una rilevanza dal punto vista storico e culturale.


Articolo riproposto da:
Fanzine periodica bimestrale, anno II, giugno 1983, n° 11.


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Scheda filmografica

Tron
Tron
USA, 1982.

     

Tron

 

di Roberto Milan

In un’epoca come quella attuale in cui gli imponenti progressi della scienza hanno permesso all’uomo di vagare con la fantasia attraverso spazi confinati, raggiungendo le più lontane stelle, immaginando le più straordinarie situazioni, ampliando a tutta la galassia il campo d’azione dell’umanità, le tematiche connesse all’esplorazione spaziale ed agli incontri con razze aliene sono state ampiamente trattate all’interno del movimento letterario di science fiction e, più recentemente sono state scoperte anche dall’industria cinematografica.
Da qui deriva l’avvento di gigantesche saghe spaziali, fra le quali spicca “Guerre stellari”, che permettono al pubblico anche non appassionato di proiettarsi in una dimensione diversa, di impossessarsi, seppur in parte, di quella nuova visione dell’universo che la scienza stessa ci induce a considerare.
In una situazione cinematografica in cui le già citate “Guerre stellari” e gli inevitabili seguiti sembrano aver monopolizzato il genere dell’avventura spaziale, si ricercano soluzioni alternative in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore in virtù di una certa originalità del soggetto, senza tuttavia rinunciare al collaudato schema di battaglia fra le forze del male e quelle del bene con la scontata vittoria di quest’ultime.
L’originalità è però necessaria ed ecco una possibile soluzione: dall’infinitamente grande si passa all’infinitamente piccolo.
Tutto sommato non si tratta neanche di un’idea senza precedenti se consideriamo ad esempio “Viaggio allucinante” di Richard Fleischer o seppur con finalità diverse “Radiazioni BX: distruzione uomo” di Jack Arnold.
L’originalità di “Tron” risiede nella differente natura del mondo infinitamente piccolo. Una natura elettronica che deriva da uno dei fenomeni più significativi introdottisi nel nostro vivere quotidiano: la computerizzazione in generale e l’utilizzo dei videogames. Con questi ultimi ci è possibile vivere, seppur marginalmente, un briciolo di avventura, dimostrando la nostra abilità e prontezza di riflessi, ed al tempo stesso calandoci nei panni del protagonista dell’azione.
I videogames ci assalgono con le avventure spaziali da loro riprodotte. Ci propongono scontri fra astronavi, combattimenti con razze aliene e tutta una serie di straordinarie situazioni in quantità tale da far acquistare al mondo dei videogames una propria consistenza.
E questa consistenza viene avvertita tangibilmente dal protagonista di “Tron”, un ingegnere elettronico, progettatore di programmi, di nome Ken Flynn, che viene smaterializzato da un raggio laser e ricostituito, molto più rimpicciolito, all’interno di questo fantastico mondo. In esso, possessore di una propria storia a se stante e senza punti di contatto col mondo reale, è in corso un periodo di assolutismo tirannico operato da “Master Control Program”, un supercalcolatore dotato di intelligenza autonoma e capace di controllare (da qui il nome) il complicato universo computerizzato.
Il “Master Control Program”, non pago del potere acquisito, cercherà di impossessarsi anche del nostro mondo e per far questo trafugherà i segreti militari delle due superpotenze inseriti nel computer del Pentagono e del Cremlino. Inutile dire che Flynn farà di tutto per evitarlo, aiutato da due abitanti (nel film vengono correttamente chiamati programmi) del mondo dei videogames, uno dei quali di nome Tron sarà il vero e proprio artefice della distruzione del “Master Control Program”.
La trama risulta, nel suo evolversi, alquanto scontata e non eccessivamente ricca di colpi di scena, ma viene almeno salvata dalla regia di Steven Lisberger. La sua direzione è lineare e scorrevole, due elementi ideali per accontentare il pubblico, senza rinunciare tuttavia a un tocco di personalità. Lisberger riesce a rendere con notevole immediatezza l’essenza del mondo computerizzato ed appare evidente come la scelta delle scene e delle inquadrature non sia casuale ma sempre il risultato di una valutazione attenta e profonda.
Ad agevolare l’operato di Lisberger sono comunque intervenuti due fattori determinanti: i buoni effetti speciali di Harrison Ellenshaw e Richard Taylor, e l’utilizzo, per alcune scene, di un vero e proprio elaboratore capace di riprodurre al proprio interno le immagini.
Alcune parti della pellicola (per un totale di una ventina di minuti) sono state interamente elaborate dal computer senza l’intervento di attori, scenari, etc. Un esperimento molto interessante che da solo giustifica la visione del film.
Per quanto riguarda gli effetti speciali inventati appositamente dai due sopracitati tecnici, non si può che restarne affascinati (alcuni giochi di luce sono veramente eccezionali), tuttavia constatando come, in più di una occasione è possibile chiaramente percepire l’utilizzo di modellini non eccessivamente convincenti.
La nota negativa però che più di ogni altra cosa colpisce è l’essenza alquanto stereotipata dei personaggi, capaci solo di azioni e battute assai scontate. Non c’è comunque da muovere appunto all’interpretazione discreta di Jeff Bridges, di David Warner e degli altri attori del cast.
Ultima nota positiva invece per la fotografia ad opera di Bruce Logan.
In conclusione un’opera che, fortunatamente, si distacca abbastanza dalle precedenti prestazioni che ci erano state proposte dalla casa produttrice Walt Disney, prive di un’impostazione organica ed indirizzate esclusivamente a un pubblico assai giovanile (un esempio è stato “The Black Hole”), senza però rinunciare agli assiomi dell’avventura più sfrenata che lascia poco spazio a tematiche più profonde. D’altra parte è questo ciò che il grosso pubblico desidera ed i produttori di una pellicola come “Tron” dai costi molto elevati (più di ventidue milioni di dollari), non possono permettersi di scontentare i gusti di un simile pretenzioso cliente.
Ancora una volta la commercialità ha rovinato quella che avrebbe potuto essere un’opera assai più interessante.